IL TRENO DEI BAMBINI di Viola Ardone / Einaudi editore - 233 pg


Voto: ⭐️⭐️⭐️⭐️/ su 5


Dopo essermi innamorata di Oliva Denaro non potevo non leggere il primissimo romanzo di Viola Ardone, quello che l’ha portata alla ribalta. Non delude nemmeno questa volta. Un romanzo bellissimo, commovente, a tratti anche divertente, narrato dalla voce di un bambino, il piccolo Amerigo.

Siamo nel 1946 e a Napoli la povertà è tanta, ma c’è anche molta solidarietà nei quartieri. Tutti si aiutano come possono. Amerigo è un bambino sereno nonostante gli stenti, il freddo, il non avere sempre un pasto caldo assicurato o un paio di scarpe nuove, la sua passione.  

Le madri disperate cercano di salvare i loro figli da questa situazione amara e difficile e accettano che, per qualche mese, alcuni di loro partano per il nord dove saranno accolti da famiglie più benestanti che li faranno studiare, li vestiranno e nutriranno adeguatamente almeno per i mesi invernali più rigidi.

Così quasi per gioco, senza ben capire cosa sta accadendo, parte Amerigo, insieme ad altri piccoli amici.

Parte senza nemmeno un cappotto, l’unico che ha lo lascia in custodia alla mamma, e una mela in tasca per il viaggio.

La traversata è molto lunga e questi bambini non sanno cosa e chi li aspetterà una volta arrivati.

Amerigo verrà accolto da una famiglia bolognese che lo amerà come un figlio, pur avendone altri tre suoi.

Finalmente avrà il padre che non ha mai avuto, delle scarpe nuove, dei giochi, dei vestiti caldi e cibo ogni giorno.

Inizierà a studiare, scoprirà la mortadella ma soprattutto si innamorerà della musica.

Da estraneo Amerigo diventa piano piano uno di famiglia e si sente a casa, la mamma gli manca, certo, ma qui sta bene.

Ma i mesi invernali passano in fretta ed è ora di tronare, ma Amerigo è cresciuto e il reinserimento nella sua Napoli non è più così facile. Pochi mesi hanno cambiato tutto…

Un racconto struggente, un percorso nella memoria, un romanzo di formazione dove un piccolo scugnizzo assaggia cosa vuol dire non vivere più di stenti e a quella vita decide che non ci vuole più rinunciare, però poi oltre alla ragione c’è anche il cuore che urla e che piange per le proprie radici che lo vorrebbero trattenere.

Questa è la storia vera di ciò che accadeva a molti bambini nell’immediato dopoguerra ma è anche la storia di tutte quelle persone che hanno dovuto lasciare la propria terra per cercare lavoro al nord strappando le proprie radici e lasciando un pezzo di cuore nella città che li ha visti nascere e crescere ma che non ha potuto poi più badare a loro, come una giovane madre che ti accudisce fin  che può ma poi ti affida a una mamma del nord per farti diventare l’uomo o la donna che sogni di essere.

Mi sono sempre chiesta come sarebbe stata la mia vita se i miei genitori non fossero venuti a lavorare a Milano. Io sono nata qui, eppure ho sempre sentito forte questo richiamo di Napoli, delle origini, forse perché lì risiede tutta la mia famiglia. Ricordo che ogni volta che scendevamo a Napoli, al momento di tornare a Milano, mi veniva la febbre, una febbre di disperazione perché sentivo che mi stavano portando via dagli affetti più cari: i nonni, i cugini, gli zii.

Ma oggi, da adulta, mi chiedo che futuro avrei avuto lì? Mio padre avrebbe fatto la carriera che ha meritato a Milano?

Sento, come il protagonista, di aver fatto un po’ pace con quella malinconia latente di una famiglia lontana. Oggi che anche gli amici più cari si allontanano da Milano e mi ritrovo a vivere con pezzi di cuore sparsi per l’Italia e per il mondo ho capito che non ha importanza quanti km ti dividono da chi ami, l’importante è portarli sempre nel cuore e non scordarli mai.


Una frase bella del libro:


“Il pensiero di te non sfiorirà: tutti gli anni che abbiamo passato distanti sono stati una lunga lettera d’amore […] Non ho altro da dirti. Non ho più bisogno di conoscere le risposte. […] I dubbi me li tengo, li porto con me per compagnia. Non ho risolto niente, non ha importanza.”